giovedì 11 aprile 2013

Quattro scippi al Sud (e senza troppo reagire)



di  Lino Patruno


Inutile dire che è giustissima la battaglia che questo giornale sta conducendo per avere l’alta velocità ferroviaria anche al Sud. Anzi sacrosanta. I cowboy conquistarono l’America con gli sbuffanti “cavalli d’acciaio” che andavano verso il West. E anche sùbito dopo l’unità d’Italia furono i binari a fare un Paese altrimenti inesistente. Lo fecero soprattutto al Nord, tanto che 150 anni dopo tra Bari e Napoli ci vogliono ancòra più di quattro ore. Insomma la storia si ripete sempre, ovviamente a danno del Sud.
Astiosa la polemica che da allora si ripropone. I Borbone vantavano la prima ferrovia della penisola, la famosa Napoli-Portici. Nove chilometri, obiettano gli storici. E per fare andare il re da una reggia all’altra. Troppo vanto, aggiungono, visto che nel 1861 i chilometri complessivi erano quasi mille al Nord e meno di cento al Sud. Centocinquant’anni dopo, non è che sia cambiato molto: oltre mille chilometri di alta velocità al Nord, solo la Napoli-Roma al Sud. Tranne che anche stavolta non si voglia dare la colpa al solito Borbone.
A chi lo contesta, Trenitalia risponde che l’alta velocità si fa al Nord perché quella è l’area più sviluppata. Prima il Nord, come dice la Lega. Anche utilizzando le tasse pagate dal Sud. Ma così il divario fra le due Italie aumenta invece di diminuire, cioè solita storia. Senza capire che è proprio la scelta del Nord come locomotiva del Paese (e il Sud vagone appresso) a non far crescere l’Italia da decenni. Decrescita infelice, altro che felice come teorizzano Grillo e i suoi. Sud tenuto lontano dalla geografia e dai governi.
Ma non è tutto. Torino si fa la metropolitana con 300 milioni di euro di fondi destinati al Sud (i famosi Fas per le aree meno sviluppate). Nessuna meraviglia, comunque, se si pensa che su 550mila progetti finanziati dall’Europa sempre per ridurre il sopradetto divario, 405mila vanno al Centro Nord con qualche trucchetto che ne fa apparire povere alcune zone. E non c’entra il Sud che non saprebbe spendere, perché è lo Stato italiano che decide di partecipare alla spesa lì e non altrove. Prima il Nord, capitolo due.
Ma non è ancòra tutto. Si finanzia con 3,3 milioni di euro il porto di Gioia Tauro. Evviva, evviva. Gioia Tauro e Taranto sono i porti di punta dell’Italia “piattaforma logistica del Mediterraneo”: intercettare le merci provenienti dall’Estremo Oriente e distribuirle in Europa. Ma se poi ti metti a fare il ficcanaso, scopri che 3,3 milioni sono le briciole di una spesa di 80 milioni andata appunto quasi tutta a Genova, Savona, Civitavecchia. Prima il Nord, capitolo tre.
Ma non è ancòra il momento di rilassarci. Mozzarella di bufala campana (ma prodotta anche in Lazio e nel Foggiano). Chi non l’ha mai gustata, si è persa una delizia. Però un difetto codesta delizia ce l’ha: è terrona. Cosicché il 21 marzo scorso zitta zitta la “Gazzetta Ufficiale” fa diventare norma una disposizione ministeriale che la condanna a morte. Stabilisce che può essere prodotta solo in opifici specializzati, non dove, mettiamo, si producono anche scamorze. Come se si dovesse avere un capannone per il vino bianco e uno per il vino rosso.
Significa che i produttori devono immediatamente smantellare tutto, pena la perdita della dop (denominazione d’origine protetta). Priva del marchio, chiunque potrà spacciare il suo prodotto come mozzarella di bufala: anche i padani che una bufala finora l’hanno vista solo in foto. Uno scippo architettato ai tempi del leghista Luca Zaia ministro dell’agricoltura. Lo stesso che con i soldi di tutti gli italiani lanciava nel mondo il Prosecco veneto. Lo stesso che faceva pubblicizzare solo prodotti nordici a una società pubblica costituita per diffondere il “Made in Italy” (Italy) agricolo. E lo stesso che quando McDonald’s decise di inventare un panino tricolore, lo fece infarcire solo di formaggi padani condannandolo al flop e al ritiro precipitoso. Prima il Nord, capitolo quattro.
Il problema, come disse una volta il comico Petrolini, non era lo spettatore che disturbava dalla galleria, ma chi non lo buttava giù. Tranne i giornali, non un politico meridionale che abbia reagito ai quattro più recenti capitoli di “Prima il Nord”. Ma quelli del Pd sono indaffarati a dire no alla grande coalizione col Pdl, quelli del Pdl sono indaffarati a dire che senza grande coalizione si va al voto, quelli di Grillo sono indaffarati a dire che se ne devono andare tutti (magari loro compresi).
Il Sud, è vero, ha il vizio di lamentarsi. Dovrebbe smetterla, tranne che per il lamento più opportuno: quello su se stesso, l’incapacità di farsi rispettare e di rispettarsi. Bisognerebbe rovesciare il tavolo. Ma l’esercizio è troppo arduo per un fatalismo abituato a non reagire e per una politica sorda, cieca, muta.

Venerdì 5 Aprile 2013 da la " Gazzetta del Mezzogiorno "