domenica 13 maggio 2012

Che me ne faccio dell'America's Cup?



CHE CE NE FACCIAMO DI NAPOLI,
SE NON POSSIAMO RAGGIUNGERLA?

di
Ciro Teodonno



Il tempo, domenica mattina, non prometteva bene ma, nonostante il grigiore del cielo, fiducioso nella nostra primavera, decido di scendere a Napoli per riprendere quel rapporto con la mia Città, interrotto più volte per l’eterna crisi dei rifiuti.
Si sa che con la distanza, col trascorrere del tempo riaffiorano solo i ricordi più belli, le nostre innate tecniche di sopravvivenza vorrebbero salvaguardarci da certe visioni desolanti, soprattutto quando persistono evidenti promemoria a mantenere vivo l’esempio della piaga della locale inciviltà. Nonostante ciò scendo fiducioso per riappropriarmi delle mie radici sperando che le mie parole scuotano qualche animo ispirato.
Nel mese di maggio è ormai tradizione a Napoli aprire al pubblico quei monumenti che regolarmente restano chiusi tutto l’anno e si fa necessità virtù per un qualcosa che invece farebbe inorridire qualsiasi altro cittadino europeo, e non solo. La nostra miopia mentale non ci permette di vedere al di là dello straordinario e ci fa accettare il poco di buono che i nostri politici ci offrono, perché altrimenti non ci resterebbe che il nulla dei restanti 334 giorni dell’anno. Il nulla delle centinaia di chiese chiuse, tranne che per i ladri; il niente dei musei con le loro esposizioni aperte al cinquanta per cento per mancanza di personale, e questo quando sei fortunato; l’aridità dei nostri amministratori che s’affidano alla buona volontà del volontariato, quello di scuole e associazioni, per guidare i turisti del nostro maggio dei monumenti, dimenticando forse le guide abilitate dalla stessa Regione Campania e che s’arrangiano come possono tra la concorrenza dell’abusivismo e la cattiva comunicazione.
C’è poi lo zero assoluto dei mezzi pubblici di trasporto, quelli che invece d’essere incentivati nel loro uso e aumentati nella frequenza in periodi di grande affluenza turistica (e quando non lo è una città d’arte come Napoli!), rimangono solo l’immagine sbiadita dei depliant informativi, spiegazzati e svolazzanti nel vento dell’ipocrisia e dello sperpero.
Si sa che il trasporto napoletano, con la crisi che tocca in particolar modo la Circumvesuviana, non sta vivendo un buon periodo, ma mi chiedo come mai, scialacquamento a parte, una più che centenaria struttura, che trasporta circa 105.000 viaggiatori al giorno per un totale di oltre 41 milioni di passeggeri annui, rischia il fallimento! Certo c’è la crisi (e quand’è che non c’è stata!) ma non vorrei che l’immensa struttura pubbliche potesse divenire una ricca occasione per i privati, avvoltoi pronti a intervenire e comprare a prezzo di liquidazione una rete ferroviaria avviata e comprensiva di servizio bus e funivia.
Molti hanno visto nell’organizzazione dell’America’s Cup un esempio di buon governo della città e forse l’immagine è stata quella, ma, a mio modesto parere, la vera immagine della Città viene data dalla sua quotidianità e non nella sua non sempre affascinante straordinarietà. Si tenga poi presente, come è accaduto per la crisi della spazzatura, lo straordinario trova spazio solo nella deroga della normativa e tutto quello che ne consegue; organizzare un evento un mese prima del suo svolgimento ha permesso di superare tutte quelle barriere che, nolenti o volenti, rallentano il normale iter organizzativo. Stavolta è andata bene, la scommessa è stata vinta, ma sarà così la prossima volta? Possiamo sempre contare sulla buona sorte?
Voglio dire che se l’immagine della nostra amata città ha avuto un impennata con l’organizzazione del torneo velistico, voluta, perché ghiotta, dalla santa alleanza di comune, provincia e regione, il credito ottenuto rischia nuovamente di calare a causa dell’ordinario disastro che affligge Partenope.
Un esempio recente. Domenica scorsa, ho organizzato come accompagnatore ufficiale della sezione del CAI di Piedimonte Matese una passeggiata lungo la Pedamentina, strada che da Montesanto sale verso San Martino, sulla collina del Vomero. Premetto che nello stesso periodo, oltre i vari eventi collaterali per il Maggio dei Monumenti, c’era anche un’analoga iniziativa di Legambiente che si proponeva di rivalutare le pedamentine napoletane.
Ci si aspettava dunque che in tali situazioni, in tali periodi dell’anno, il comune facesse qualcosa in più di una semplice spazzata; ed ecco invece che il malcapitati escursionisti hanno inteso a pieno che il titolo del mio “trekking urbano” non era allusivo ma veritiero. Lungo infatti i 414 gradini di quelle rampe i poveretti hanno dovuto districarsi tra spazzatura, micro discariche e rottami di vario tipo e marca. Come se non bastasse, l’itinerario è divenuto un gimkana tra vetri rotti, prodotti da chi, nelle notti brave, s’improvvisa provetto lanciatore, ma anche tra le siringhe degli immancabili tossicodipendenti e quei simpatici cilindri organici lasciati dai cani e dagli altrettanto canidi padroni. Che dire? Mi sono vergognato!
Ho provato la vergogna di mostrare l’ormai solita cartolina di Napoli. E dire che sei giorni prima avevo fatto un sopralluogo e avevo constatato che degli addetti stavano facendo pulizia e per questo avevo ben sperato. Ma in questo luogo baciato dalla natura ma non dalla sorte, la speranza è la prima a morire. “Bella Napoli! Ma quanto è sporca!” Quante volte abbiamo sentito ripetere questa frase e in quante lingue diverse. Non vorrei che l’America’s Cup divenisse un unicum come il Centro Antico, il Vesuvio e gli scavi di Pompei. Un qualcosa che si vende di per sé come la peculiarità della Città e che non necessita di investimento alcuno, né economico, né sociale, né culturale.
Da buon socio CAI sono sceso a Napoli dal Vesuviano a piedi, con i mezzi pubblici come buon senso imporrebbe, ho fatto il biglietto da tre euro e venti, il giornaliero “week-end”.
Comme ve regnita a vocca cu st’inglese! Pensate che basti una parola anglosassone o dal sapore esotico per cambiare faccia a un pessimo servizio.
Riesco ad arrivare in orario all’appuntamento perché ho calcolato in anticipo il ritardo del bus ed esco di primo mattino. Al ritorno però, per tornare a casa, attendo due ore d’orologio il 175, due ore ad attendere in piedi e sotto il sole, a veder scorrere uno repertorio umano da corte dei miracoli e che meriterebbe ben altre trattazione.
Ma che me ne faccio dell’America’s Cup? Che me ne faccio di Via Caracciolo chiusa al traffico se non ci posso arrivare? Ma chi ci amministra dove vive? Credono davvero che basti qualche giornalista amico e compiacente a nascondere il marcio che c’è sotto la città? Ma sono davvero così sicuri che non venga mai a galla? Probabilmente sanno che i loro tempi politici sono assai limitati e non guardano più avanti del lustro che gli spetta ma se la memoria è labile la monnezza no! Quella s’accumula e prima o poi ci arriverà un’altra volta sotto al naso.