martedì 29 maggio 2012

Il calcio napoletano


DA NAPOLI CAPITALE 
A NAPOLI CAMPIONE

di
Francesca Romano


“Voglio scriverti una poesia come dedica dietro questa cartolina, scegli tu il tema” mi disse un giorno un signore che così si guadagnava da vivere nel cuore dell’ex capitale del Regno delle Due Sicilie. Anche in questo modo la nostra gente riesce a sopravvivere. “Fammene una su Napoli” gli risposi per vedere cosa pensava quel rapsodo di oggi che già  guardavo come si guarda ad una delle voci  che in maniera più genuina riassumono l’anima più profonda di questa città.
Ciò che uscì fuori da quelle righe fu un elogio alla squadra azzurra, alla Napoli Campione. Quel signore che sapeva tutto di Piazza Plebiscito e dei Borbone aveva come motivo di orgoglio e di gioia la squadra del Napoli. Pur avendomi spiegato bene la storia sulla quale era molto preparato, in quella poesia non mi ha parlato degli antichi Greci, né della Sibilla Cumana, né degli antichi Romani, né degli Angioni, né degli Aragonesi, né dei Borbone. Napoli non era nulla di tutta la sua storia. Napoli non era San Gennaro, né San Giuseppe Moscati. Napoli non erano gli emigranti, non era il mare, né il Vesuvio, non era la canzone napoletana, non erano i film del neorealismo, non era Sofia Loren e nemmeno Totò. La poesia era inoltre scritta in italiano. Di cosa avrebbe dovuto parlarmi d’altra parte quel signore, di un repertorio che non sentiva suo? O peggio ancora della politica? Forse un tempo la dinastia borbonica e la religione cattolica amate dal popolo erano i simboli viventi e pulsanti di un’identità forte difesa da eserciti di giovani soldati volontari, fieri di essere ciò che erano. Oggi cosa è rimasto di tutto questo? Possiamo affermare con certezza che la politica senza dubbio non ha sostituito nella mentalità popolare ciò che invece era il sovrano. Demagogia e consumismo per troppo tempo hanno cercato di sostituire patria e religione creando un forte senso di vuoto e disorientamento identitario. Il risultato è che non è la destra, né la sinistra, non sono i politici in genere a rappresentare il popolo. C’è però il Napoli, ci sono i calciatori, osannati come veri e propri salvatori della patria se non come piccole divinità, o, nella migliore delle ipotesi, quasi come fossero soldati che lottano contro un nemico usurpatore. Negli stadi più che nelle urne i cittadini si sentono liberi di esprimere la loro sovranità o meglio, solo negli stadi ci è stato sapientemente concesso questo spazio. Se così non fosse d’altra parte il malcontento potrebbe facilmente sfociare in reazioni violente e in ogni caso sbagliate, questo chi ci gestisce lo sa bene. Se esaminiamo la questione da un tal punto di vista potremmo quindi affermare che, con i vari distinguo, ciò che i tifosi decretano nelle partite ha lo stesso peso dei referendum. Se tutto uno stadio si ribella alle note di “Fratelli d’Italia” significa che sicuramente qualcosa non va . Cos’è che non va? Nei cittadini dell’ex Regno delle Due Sicilie dall’unità ad oggi c’è una sorta di mal disposizione latente verso le istituzioni e verso i simboli di un’Italia debole e indebitata che non ha saputo dimostrare finora di fare gli interessi della collettività. C’è una mal disposizione verso questo stato basato su un sistema nord centrico somma degli interessi di pochi e non su un’istituzione basata su un patriottico e fraterno gesto di carità istituzionale che dovrebbe trarre le sue origini dal cristianesimo. Quest’Italia che dovrebbe fare del Sud la zona di traino economico lo tratta invece come un peso, come un pezzo morto quasi da amputare e non come una risorsa. Qualche personaggio della cultura e della politica si è indignato alle grida di disapprovazione verso l’inno di Mameli da parte dei napoletani. Ci sono invece napoletani che s’indignano di come non si riesca o non si voglia vedere cosa c’è dietro quelle grida di disapprovazione. Quante volte si sono indignati i napoletani a Terzigno o a Pompei per citare i casi più famosi? La disapprovazione dei napoletani verso l’inno non è certo paragonabile a quella dei Padani impegnati per ora in tutt’altro genere di faccende. La disapprovazione dei Padani è quella di alcuni cittadini che una volta raggiunta una condizione economica ottimale, utilizzando machiavellicamente ogni metodo in loro potere, dimostrano il loro profondo amore regionale o personale rinnegando ogni legame con tutto ciò che padano non è. La disapprovazione dei napoletani verso l’inno è il dramma di un popolo a cui è stata strappata la propria capitale reale e la sua vera identità e che è costretto a rifugiarsi in una riduttiva e virtuale identità calcistica. Dovremmo sempre ricordarci invece di chi eravamo e di chi ancora, nel profondo, siamo. Faremmo un torto a noi stessi, alla nostra patria, alla nostra storia, alla nostra identità se ci accontentassimo della Napoli Campione. Riprendiamoci la nostra capitale! 






mercoledì 23 maggio 2012

Grande evento a Campo di Marte (Capodichino)


In occasione del Maggio dei Monumenti di Napoli, per dare luce all'antica Piazza Capodichino e all'adiacente Chiesa dell'Immacolata Concezione, l'Associazione Ci Siamo Anche Noi, ha organizzato, oltre alle visite guidate in loco ogni fine settimana di maggio 2012, per il giorno 2 giugno, alle ore 18,00, la RIEVOCAZIONE STORICA in costumi d'epoca dell'attentato al Re FERDINANDO II DI BORBONE, con parata militare e drammatizzazione musicale dell'evento che diede origine alla fondazione dell'antica chiesa, nata come ex voto per lo scampato attentato al penultimo Re Borbone delle due Sicilie.
Ha aderito alla manifestazione il Movimento Neoborbonico, partecipando attivamente alla riuscita dell'importante evento. 

Il programma sarà il seguente:

ore 18.00 parata militare e, a Piazza Di Vittorio, ricostruzione dell’attentato a cura dei Tiragliatori dell’ Ass. Milites Luci di Potenza e del Cap. Alessandro Romano; 

ore 19.00 Celebrazione Eucaristica a cura di Mons. Doriano De Luca; 

ore 20.00 Concerto musicale in piazza Capodichino. 


Parteciperanno Vincenzo Solombrino (presid. VII Municipalità); 
Nando Dicè (presid. Insorgenza Civile); 
Gennaro De Crescenzo (presid. Movimento Neoborbonico); 
Alessandro Romano (coordinatore Movimento Neoborbonico); 
Renato Mosella (nel ruolo di S. M. Ferdinando); 
Daniele Arrichiello (presid. Ass. CiSiamoAncheNoi). 

Info 081 7383352; 333 9031669; 330 556988







La Storia

L’8 dicembre del 1856, durante la tradizionale parata militare presso il Campo di Marte, situato nella zona dell’attuale Aeroporto di Capodichino, Ferdinando II di Borbone, un grande Re, un grande Napoletano che più degli altri aveva governato i suoi Popoli con orgoglio e senso di appartenenza regalando ai meridionali primati positivi soprattutto economici (dalla prima ferrovia alle strade, dalle industrie alla flotta), fu vittima di un attentato da parte di un certo Agesilao Milano. Uno dei colpi lo ferì in maniera non grave ma, secondo alcuni recenti studi di paleopatologia, la ferita potrebbe essere stata l’origine del male misterioso che nel maggio del 1859 lo avrebbe portato alla morte. 

Sempre da studi recenti, effettuati anche sui documenti relativi al processo all’attentatore, dietro l’azione ci sarebbe stato un inquietante complotto internazionale ordito da Torino e Londra attraverso la collaborazione di liberali, massoni e mazziniani. 

Omicidio che avrebbe dovuto meglio predisporre l’annessione del Regno al Piemonte. Il 3 agosto del 1857 la prima pietra della Chiesa dell’Immacolata Concezione voluta dal Re, nel luogo esatto dell'attentato, come ex voto per essersi salvato proprio l’8 dicembre e in una piazza che, con gli obelischi in piperno, il muro daziario e il Campo di Marte, si legava profondamente alla dinastia borbonica. 

Di qui il merito dell’ Associazione Ci Siamo Anche Noi di aver riportato la storia e la verità storica, con la ricostruzione teatrale e la cerimonia religiosa, in una piazza, in un quartiere e in una città che hanno bisogno, oggi più che mai, di ritrovare radici, tradizioni e orgoglio.     







martedì 22 maggio 2012

All'Olimpico fischiato l'inno di Mameli




Quello che meraviglia noi è quella "loro" meraviglia e quell’insopportabile disprezzo per ciò che stava accadendo allo stadio Olimpico di Roma. 
Infatti non è pensabile che un’alta carica dello Stato ignori la dilagante presa di coscienza identitaria di un Popolo e che si sconvolga di fronte a manifestazioni spontanee di massa. 
Sembra di vedere quell’autista distratto che, imboccando l’autostrada contromano, resta “sconvolto” per quella “massa di stupidi” che gli marciano contro. Egli, come il Presidente Schifani, non si rende conto che l’errore è il suo non del popolo.
Certo è che quella valanga travolgente di fischi che ha soffocato la voce della cantante impegnata invano ad intonare l’Inno d’Italia, ha avuto un’apoteosi senza precedenti, confermando il totale fallimento di quanto inutilmente speso ai danni della verità storica per finanziare una propaganda a senso unico imbastita per tenere le fila di una retorica risorgimentale ormai allo stremo.
E’ giunta l’ora della verità e questo, il Popolo, domenica, lo ha dimostrato molto bene. Ogni critica ad un sentimento comune, condiviso da milioni di telespettatori, diventa un insulto se non interpretato nel modo giusto. La storia ci insegna che “al popolo non si comanda”: che Schifani e compagnia bella la smettessero di fare i disgustati e facessero, invece, un po’ di autocritica prima che sia troppo tardi e cioè prima che quei fischi subiscano una grave e deprecabile mutazione genetica già vista nella storia del Paese.



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ANSA: 


Schifani. "'I fischi all'inno di Mameli sono incivili, inaccettabili e mi hanno sconvolto: credevo che in una giornata come questa il Paese potesse unirsi sotto un inno sinonimo di solidarietà, e non che si potesse dar luogo a gesti del genere. L'inno è unità e rappresenta la nostra libertà e democrazia per le quali si sono sacrificate moltissime vite umane".


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DUE PAROLE SULL'INNO FISCHIATO
di
Gennaro De Crescenzo



Non è questa la sede opportuna per celebrare una vittoria calcistica anche se qualche considerazione positiva sulla vittoria del Napoli contro la Juventus pure sarebbe interessante visto che si trattava e si tratta della capitale del Sud contro la squadra di Torino (il consueto “Borbone contro Savoia”) e dei potentati politici ed economici di ieri e di oggi e la loro sconfitta, inevitabilmente e simbolicamente, coincide con una rivalsa storico-culturale che va oltre quel campo di calcio (e non si spiegherebbe altrimenti l’importanza pluridecennale di quella partita). Due parole, però, vanno spese per quei fischi che hanno accompagnato l’esecuzione dell’inno italiano, che hanno costretto la Rai a utilizzare ogni (inutile) mezzo per coprirli e politici e opinionisti di turno ai soliti comunicati che “stigmatizzavano” l’episodio. Troppo facile e troppo comodo liquidare il tutto con la solita dichiarazione in cui ci si definisce “indignati” per l’episodio o si definiscono “incivili” i contestatori (tutti di parte napoletana, come dimostrano i testimoni dell’Olimpico o i siti juventini che si sono prontamente associati alla “condanna”). E non si trattava dei soliti “due-trecento ultrà”: erano in trentamila a farsi sentire tra fischi e cori (“partenopei, noi siamo partenopei”) nonostante quello che scrivono i soliti opinionisti ufficiali attaccando magari in maniera paradossale e comica la “retorica sudista o neoborbonica” (mai vista prima degli ultimi anni) che ha “osato attaccare” un inno (simbolo di tutte le più abusate retoriche da un secolo e mezzo). Ed è da rilevare che appena qualche secondo dopo tutto lo stadio è stato in religioso e rispettoso silenzio durante il minuto di raccoglimento per le vittime del terremoto dell’Emilia e dell’attentato di Brindisi. Complessa e significativa, forse, la lettura: si contestavano lo Stato e i suoi simboli ufficiali (con gli esponenti politici e della lega-calcio) ma non quelli della “nazione” (le vittime settentrionali e meridionali di qualche ora prima): un segnale di rispetto e di speranza e, insieme, un grido di allarme a quanto pare (viste le dichiarazioni più o meno indignate) del tutto inascoltato. Si contestava, allora, l’assenza totale dello Stato dalle parti del Sud da circa 150 anni ed in particolare negli ultimi anni con una questione meridionale sempre più drammatica e che i politici di turno (del Sud come del Nord) hanno colpevolmente dimenticato e addirittura aggravato. Si contestavano quelle autorità sportive che per anni (ed in particolare nell’ultimo anno) sono state colpevolmente silenziose di fronte agli attacchi di razzismo che i nostri calciatori e i nostri tifosi hanno subito in tutta Italia. Si contestava tutto questo finalmente forti di un orgoglio, di un senso di appartenenza e di una voglia di riscatto che possono e potrebbero essere positivi non solo per l’ex Regno delle Due Sicilie… Erano fischi pesanti, quelli dell’Olimpico, ma certamente meno pesanti dei silenzi, delle assenze e delle colpe che spesso siamo costretti a sopportare, e da troppo tempo, fuori dai campi di calcio senza che nessuno, però, si indigni come potrebbe e come dovrebbe:
1) 150 anni di bugie storiche dopo i massacri e i saccheggi subiti dal Sud durante un’unificazione di cu quell’inno è simbolo e la Juve è continuazione simbolica; 2) una questione meridionale sempre più dimenticata e sempre più drammatica con emigrazione, disoccupazione e miseria sempre più diffuse nell’Italia del Sud e tra i nostri giovani; 3) redditi, occupazione e servizi da terzo mondo; 4) scelte politiche sempre più lontane dagli interessi dei meridionali e due Italie di fatto già separate anche dopo anni di governo leghista; 5) episodi di razzismo antinapoletano e antimeridionale sempre più numerosi sugli stadi e fuori e nessun intervento delle autorità sportive o istituzionali: non sarebbero motivi sufficienti per i quali, in trentamila, fischiare un inno (senza commettere alcuna violenza su nessuno) restando, tra l’altro, in corretto e religioso silenzio durante il minuto di raccoglimento? E qualcuno, invece di indignarsi anche per uno solo dei motivi di cui sopra, ha (a Nord o, peggio ancora, a Sud) il coraggio e la spudoratezza di attaccare e offendere quei trentamila “incivili”?
Copio da Rosario De Felice Saccone: “Sono 150 anni che ci dicono che non siamo italiani ed ora si stupiscono che gli fischiamo l'inno??? e che vulevn pure l'applauso???!!!”




lunedì 21 maggio 2012

Corteo Storico a Bitonto







Come ogni anno, da tanti anni, anche il prossimo 26 maggio 2012, nel ricordo di quella battaglia che a Bitonto sancì la nascita del Regno delle Due Sicilie, si terrà il partecipatissimo Corteo Storico.

L’instancabile prof.ssa Tina Tota, che guida mirabilmente l’Associazione “Accademia della Battaglia”, quest’anno, tra l’altro, ha previsto anche uno spaccato di quella mirabile battaglia, coinvolgendo i nostri Soldati che animano le manifestazioni di Gaeta, Civitella e degli altri luoghi della nostra amata Terra.








A Santa Chiara di Napoli per ricordare Ferdinando II




22 MAGGIO 1859 - 22 MAGGIO 2012
A 153 anni dalla morte di Ferdinando II di Borbone, appuntamento nella Basilica di Santa Chiara, 
martedì 22 maggio, ore 19.00. 

Santa Messa e Guardia d'Onore alle Reali Tombe dei Sovrani Borbone delle Due Sicilie per celebrare insieme il Nostro Grande Re Ferdinando II. La Santa Messa sarà officiata dal Padre Salvatore Vilardi, Padre Guardiano, e dal Parroco Padre Giuseppe Sorrentino. 
Saranno esposte le bandiere della Real Casa e del Sacro Ordine Costantiniano di San Giorgio.
Organizzazione a cura della Delegazione Napoli e Campania del Sacro Militare Ordine Costantiniano con il Marchese Pierluigi Sanfelice di Bagnoli e del Cav. Luigi Andreozzi.
Ferdinando II di Borbone, grande Re, grande Napoletano, rappresenta il Sud dei primati, dell'orgoglio e del senso di appartenenza al nostro territorio: tutti elementi più che mai attali e necessari per il futuro e per il riscatto degli antichi Popoli delle Due Sicilie. 
Di qui la necessità di ritrovare e di celebrare la memoria storica con iniziative come quella di Santa Chiara il 22 maggio e quella successiva a Capodichino, il prossimo 2 giugno, presso la Chiesa dell'Immacolata Concezione.

sabato 19 maggio 2012

Sull'attentato di Brindisi





HANNO COLPITO 
MA 
E’ LA LORO FINE





Chiunque può aver armato la mano dei criminali che oggi hanno seminato lutto e dolore a Brindisi, è da considerare una bestia infernale, un diabolico mostro dalle sembianze umane il cui fine è di colpire la gente, la vita, il futuro.
Non ci sono moventi politici o economici che riescano, seppur in minima parte, a giustificare quanto di aberrante è stato fatto contro dei ragazzi inermi.
I più crudeli criminali che la storia dell’umanità ha conosciuto hanno mostrato la loro cieca ferocia, sfogando una brutalità senza senso, nel momento della loro fine, poco prima di morire.
Conoscendo come vanno le cose in questo strano Paese, non sappiamo se si scoprirà mai chi è l’autore di quanto è accaduto a Brindisi, ma la cosa certa è che costoro stanno morendo soffocati da una presa di coscienza di un popolo sempre più consapevole ed in grado di individuare i veri colpevoli di quanto sta accadendo in una società immiserita soprattutto nell’etica e nell’amore per l’uomo.

Alessandro Romano



giovedì 17 maggio 2012

Neoborbonici a Vieste






Appuntamento con la storia



In un momento storico così incerto, come quello che stiamo vivendo, parlare di storia potrebbe essere un modo per distrarci dalla realtà e per scoprire un passato di grande valore come quello del Mezzogiorno d’Italia.
Noi, della sezione di Vieste  dell’associazione culturale “Daunia Due Sicilie”, proponiamo un altro incontro culturale presso l’auditorium della scuola media “A. Spalatro” il 19 Maggio 2012 alle ore 18:00, visto il grande successo che ha ottenuto l’incontro del 14 Aprile con lo storico Alessandro Romano.
Questa volta proporremo la video proiezione del film documentario “La Terra dei Borbone”, che e’ composto da un insieme di reportage televisivi, come la trasmissione “Ulisse”, e da interviste a noti storici italiani e personaggi della TV come Michele Placido.
Questo film documentario mostrerà ancora una volta come l’Unita’ d’Italia sia avvenuta in modo totalmente diverso da come l’abbiamo studiata fino ad ora sui libri di scuola.
Infatti, si vedrà che noi del sud non avevamo richiesto nessun aiuto per cacciare via il Re Francesco II di Borbone, in quanto eravamo un popolo “in grazia di Dio”.
Eravamo la terza potenza europea, avevamo nel 1860 una riserva aurea di 500 milioni di lire!!! Un debito pubblico tra i più bassi d’Europa!!! Avevamo pochissime tasse!!!
E che dire delle industrie!! Come lo stabilimento siderurgico di Pietrarsa, i cantieri navali di Castellammare di Stabia, le industrie tessili della provincia di Salerno, l’industria ferriera di Mongiana in Calabria, le cartiere nella zona del fiume Liri e tante altre ancora.
La Puglia esportava l’olio d’oliva in gran quantità, che nell’800 serviva per lubrificare i macchinari della nascente rivoluzione industriale!!!
Primati in tutti i settori, come la prima ferrovia in Italia, la prima illuminazione a gas delle strade, il primo ponte sospeso in ferro, il centro sismografico sul Vesuvio e tanti altri che scoprirete durante la visione di questo film documentario.
Poi arrivò Garibaldi con i suoi 1000 (?) uomini, arrivarono i Savoia e infine l’Unità d’Italia che ha spazzato via in un sol colpo circa 730 anni di storia di una Nazione tra le più importanti d’Europa!!
E cominciò il nostro Calvario!!! Eccidi di massa, stragi, brigantaggio, povertà, analfabetismo, emigrazione e sottomissione ad un Nord ricco ed evoluto….      
Il nostro gruppo, come può pensare qualcuno, non vuole fare nessuna rivoluzione, nessun stravolgimento di pensiero, vuole soltanto che la gente sappia cosa eravamo davvero, prima e dopo l’Unità d’Italia … Siamo per il “Revisionismo Storico”, cioè rivedere e raccontare la storia del risorgimento italiano come i libri di storia non hanno mai fatto!!! 

 Lopriore Michele





mercoledì 16 maggio 2012

Il Mattino, Dumas e i Borbone: non compriamo quel libro.






Il (solito) quotidiano Il Mattino di Napoli sta lanciando in questi giorni una iniziativa "speciale": la possibilità di acquistare insieme al quotidiano i due volumi della "Storia dei Borbone di Napoli" di Alexandre Dumas. La cosa più sorprendente, però, è lo slogan che accompagna la pubblicità del libro che racconta "la storia della dinastia che portò importanti sviluppi economici, artistici e culturali nella Napoli capitale". Due considerazioni e un suggerimento: 1) nel libro di Dumas non c'è alcuna traccia di questi sviluppi positivi ottenuti dai Borbone (in tutti i settori): Dumas, giornalista, romanziere (tutt'altro che "storico"), massone e accompagnatore / ufficio stampa di Garibaldi, al centro di numerosi scandali politici e personali, è stato uno dei peggiori diffusori di leggende e bugie contro i Borbone; 2) Il Mattino da tempo, ormai, ha dato spazio a interventi unilaterali ignorando tutti gli aspetti positivi del governo borbonico e rinunciando anche a qualsiasi forma di dibattito sul tema: se ne ricorda solo per pubblicizzare la sua iniziativa commerciale quasi ammiccando ai (tanti) borbonici/neoborbonici potenziali acquirenti (lo schema, del resto, non è nuovo ed è lo stesso applicato a testi come quello, per fare un esempio, di Gianni Oliva, Un regno che è stato grande, con buona introduzione quasi "neoborbonica", stemma a colori in copertina e soliti contenuti antiborbonici); 3) NON COMPRIAMO QUEL LIBRO PROPOSTO DAL MATTINO...







domenica 13 maggio 2012

Che me ne faccio dell'America's Cup?



CHE CE NE FACCIAMO DI NAPOLI,
SE NON POSSIAMO RAGGIUNGERLA?

di
Ciro Teodonno



Il tempo, domenica mattina, non prometteva bene ma, nonostante il grigiore del cielo, fiducioso nella nostra primavera, decido di scendere a Napoli per riprendere quel rapporto con la mia Città, interrotto più volte per l’eterna crisi dei rifiuti.
Si sa che con la distanza, col trascorrere del tempo riaffiorano solo i ricordi più belli, le nostre innate tecniche di sopravvivenza vorrebbero salvaguardarci da certe visioni desolanti, soprattutto quando persistono evidenti promemoria a mantenere vivo l’esempio della piaga della locale inciviltà. Nonostante ciò scendo fiducioso per riappropriarmi delle mie radici sperando che le mie parole scuotano qualche animo ispirato.
Nel mese di maggio è ormai tradizione a Napoli aprire al pubblico quei monumenti che regolarmente restano chiusi tutto l’anno e si fa necessità virtù per un qualcosa che invece farebbe inorridire qualsiasi altro cittadino europeo, e non solo. La nostra miopia mentale non ci permette di vedere al di là dello straordinario e ci fa accettare il poco di buono che i nostri politici ci offrono, perché altrimenti non ci resterebbe che il nulla dei restanti 334 giorni dell’anno. Il nulla delle centinaia di chiese chiuse, tranne che per i ladri; il niente dei musei con le loro esposizioni aperte al cinquanta per cento per mancanza di personale, e questo quando sei fortunato; l’aridità dei nostri amministratori che s’affidano alla buona volontà del volontariato, quello di scuole e associazioni, per guidare i turisti del nostro maggio dei monumenti, dimenticando forse le guide abilitate dalla stessa Regione Campania e che s’arrangiano come possono tra la concorrenza dell’abusivismo e la cattiva comunicazione.
C’è poi lo zero assoluto dei mezzi pubblici di trasporto, quelli che invece d’essere incentivati nel loro uso e aumentati nella frequenza in periodi di grande affluenza turistica (e quando non lo è una città d’arte come Napoli!), rimangono solo l’immagine sbiadita dei depliant informativi, spiegazzati e svolazzanti nel vento dell’ipocrisia e dello sperpero.
Si sa che il trasporto napoletano, con la crisi che tocca in particolar modo la Circumvesuviana, non sta vivendo un buon periodo, ma mi chiedo come mai, scialacquamento a parte, una più che centenaria struttura, che trasporta circa 105.000 viaggiatori al giorno per un totale di oltre 41 milioni di passeggeri annui, rischia il fallimento! Certo c’è la crisi (e quand’è che non c’è stata!) ma non vorrei che l’immensa struttura pubbliche potesse divenire una ricca occasione per i privati, avvoltoi pronti a intervenire e comprare a prezzo di liquidazione una rete ferroviaria avviata e comprensiva di servizio bus e funivia.
Molti hanno visto nell’organizzazione dell’America’s Cup un esempio di buon governo della città e forse l’immagine è stata quella, ma, a mio modesto parere, la vera immagine della Città viene data dalla sua quotidianità e non nella sua non sempre affascinante straordinarietà. Si tenga poi presente, come è accaduto per la crisi della spazzatura, lo straordinario trova spazio solo nella deroga della normativa e tutto quello che ne consegue; organizzare un evento un mese prima del suo svolgimento ha permesso di superare tutte quelle barriere che, nolenti o volenti, rallentano il normale iter organizzativo. Stavolta è andata bene, la scommessa è stata vinta, ma sarà così la prossima volta? Possiamo sempre contare sulla buona sorte?
Voglio dire che se l’immagine della nostra amata città ha avuto un impennata con l’organizzazione del torneo velistico, voluta, perché ghiotta, dalla santa alleanza di comune, provincia e regione, il credito ottenuto rischia nuovamente di calare a causa dell’ordinario disastro che affligge Partenope.
Un esempio recente. Domenica scorsa, ho organizzato come accompagnatore ufficiale della sezione del CAI di Piedimonte Matese una passeggiata lungo la Pedamentina, strada che da Montesanto sale verso San Martino, sulla collina del Vomero. Premetto che nello stesso periodo, oltre i vari eventi collaterali per il Maggio dei Monumenti, c’era anche un’analoga iniziativa di Legambiente che si proponeva di rivalutare le pedamentine napoletane.
Ci si aspettava dunque che in tali situazioni, in tali periodi dell’anno, il comune facesse qualcosa in più di una semplice spazzata; ed ecco invece che il malcapitati escursionisti hanno inteso a pieno che il titolo del mio “trekking urbano” non era allusivo ma veritiero. Lungo infatti i 414 gradini di quelle rampe i poveretti hanno dovuto districarsi tra spazzatura, micro discariche e rottami di vario tipo e marca. Come se non bastasse, l’itinerario è divenuto un gimkana tra vetri rotti, prodotti da chi, nelle notti brave, s’improvvisa provetto lanciatore, ma anche tra le siringhe degli immancabili tossicodipendenti e quei simpatici cilindri organici lasciati dai cani e dagli altrettanto canidi padroni. Che dire? Mi sono vergognato!
Ho provato la vergogna di mostrare l’ormai solita cartolina di Napoli. E dire che sei giorni prima avevo fatto un sopralluogo e avevo constatato che degli addetti stavano facendo pulizia e per questo avevo ben sperato. Ma in questo luogo baciato dalla natura ma non dalla sorte, la speranza è la prima a morire. “Bella Napoli! Ma quanto è sporca!” Quante volte abbiamo sentito ripetere questa frase e in quante lingue diverse. Non vorrei che l’America’s Cup divenisse un unicum come il Centro Antico, il Vesuvio e gli scavi di Pompei. Un qualcosa che si vende di per sé come la peculiarità della Città e che non necessita di investimento alcuno, né economico, né sociale, né culturale.
Da buon socio CAI sono sceso a Napoli dal Vesuviano a piedi, con i mezzi pubblici come buon senso imporrebbe, ho fatto il biglietto da tre euro e venti, il giornaliero “week-end”.
Comme ve regnita a vocca cu st’inglese! Pensate che basti una parola anglosassone o dal sapore esotico per cambiare faccia a un pessimo servizio.
Riesco ad arrivare in orario all’appuntamento perché ho calcolato in anticipo il ritardo del bus ed esco di primo mattino. Al ritorno però, per tornare a casa, attendo due ore d’orologio il 175, due ore ad attendere in piedi e sotto il sole, a veder scorrere uno repertorio umano da corte dei miracoli e che meriterebbe ben altre trattazione.
Ma che me ne faccio dell’America’s Cup? Che me ne faccio di Via Caracciolo chiusa al traffico se non ci posso arrivare? Ma chi ci amministra dove vive? Credono davvero che basti qualche giornalista amico e compiacente a nascondere il marcio che c’è sotto la città? Ma sono davvero così sicuri che non venga mai a galla? Probabilmente sanno che i loro tempi politici sono assai limitati e non guardano più avanti del lustro che gli spetta ma se la memoria è labile la monnezza no! Quella s’accumula e prima o poi ci arriverà un’altra volta sotto al naso.


domenica 6 maggio 2012

Boicottiamo la TIM




BOICOTTIAMO LA
TIM


Finché si sorrideva su Garibaldi, mito costruito "su misura" dai vincitori, che ha fatto solo piangere la nostra Gente, va bene, ma che adesso si perpetra la solita malefica parodia nei confronti di un Esercito calunniato dalla storiografia ufficiale e vilipeso dai soliti meschini ciucci e venduti, non siamo proprio d’accordo.

Il recente spot della TIM sui Soldati Borbonici non ci piace nel modo più assoluto: infanga la memoria dei nostri padri ed alimenta la menzogna storica, immolando sull’altare della parodia grottesca uomini morti in difesa della propria Patria.

Chi offende l’Esercito Borbonico intende offendere il Popolo del Meridione d’Italia, di questo ormai ne siamo tutti certi.



Fatti gli opportuni conti, riteniamo che una lezione, così come accadde per l’IKEA, siamo in grado di darla anche alla TIM.

Pertanto



BOICOTTIAMO LA TIM



1)     Non accogliamo e non facciamo accogliere la proposta dello spot;

2)    Non effettuiamo ricariche TIM fin quando non cesserà lo spot;

3)    Cambiamo verso altri gestori;

4)    Non acquistiamo prodotti TIM;

5)    Propaghiamo il boicottaggio con amici e conoscenti.



 Lo spot è visibile anche su Facebook dove è possibile lasciare note di protesta



http://www.facebook.com/TimOfficialPage  






Novità Editoriale - Antonio Grano - Il male oscuro dell'Italia












venerdì 4 maggio 2012

Civici Pompieri a Napoli





I “Civici Pompieri di Napoli”

è stata una gloriosa istituzione borbonica

ora fedelmente ricostruita nelle divise 
e nei repertori musicali 









mercoledì 2 maggio 2012

La prima stazione ferroviaria di Napoli si sbriciola






Degrado a Napoli
Bayard, il primato borbonico si sbriciola

La prima ferrovia d'Italia? Un rudere di tufo
Ma c'è un progetto di Loris Rossi per il recupero

di
Maria Pedata



NAPOLI — Un rudere di tufo è quel che resta della Stazione Bayard. A tre anni dagli annunciati finanziamenti, circa 700 mila euro, versa nel degrado e nell'abbandono il terminale ferroviario che fu primato del Regno duosiciliano. Il tratto che collegava le stazioni di Napoli e Portici venne inaugurato il 3 ottobre del 1839. Oggi quel pezzo di Storia di proprietà del Comune ospita i locali della Seconda Municipalità.
UN PROGETTO MAI PARTITO - La facciata esterna della stazione è irriconoscibile. Nascosta da erbacce e cartelloni pubblicitari, si sta sbriciolando. Ma qualche passo avanti gli enti lo hanno fatto e a Palazzo Matteotti si parla di "questione Bayard" come di «una battaglia per cui vale la pena lottare», dice in particolare il presidente del consiglio provinciale, Luigi Rispoli, che si è interessato al recupero della prima stazione avvalendosi della collaborazione di Aldo Loris Rossi ed Emilia Gentile. Questi firmarono persino un progetto di restauro e riqualificazione a scopo sociale della struttura borbonica, un piano per farne un Museo delle Comunicazioni Viarie e un centro di informazioni turistiche. Adesso è in stampa un opuscolo del progetto ideato dall'associazione Informazione Giovani Europa, a cui collaborerà il console francese Denis Barbet. «Nel 2009 incontrai il direttore regionale del ministero ai Beni culturali, l'architetto Pio Baldi - ha spiegato Rispoli - assieme a Loris Rossi, Umberto Franzese e Mario De Cunzo e in quella occasione ci comunicò che nella ripartizione annuale dei fondi del ministero era prevista una cifra di 700mila euro per avviare il recupero della stazione della Napoli-Portici, e ci fu una mia battaglia in consiglio per far stanziare altri 500mila euro dalla Provincia».
VICENDA "A PUNTATE" - Fu stabilito nel pluriennale un importo robusto da destinare all'apertura del cantiere, ma un vero progetto esecutivo non c'è mai stato. «Il sito è di proprietà del Comune - continua Rispoli - e per destinare queste risorse alla soprintendenza fu ipotizzato un protocollo di intesa con tutti gli Enti locali. Ma dopo l'avvicendamento in Regione e per mille altre ragioni di rendicontazione e bilanci il progetto si è arenato». Con una intesa con Circumvesuviana anche l'amministrazione comunale annunciò coperture per il rudere in attesa del cantiere e intanto, l'avvio di un'isola pedonale antistante. Una vicenda a puntate, quindi, quella del recupero della Bayard, scandita da accordi rimasti sulla carta, mentre resta l'evidente degrado e abbandono dell'edificio di via dei Fossi. Per la Napoli-Portici anche la Seconda Municipalità è scesa in campo con un certo ottimismo: «L'obiettivo del recupero deve riguardare tutta l'area circostante - dice Pino De Stasio, consigliere con delega al Centro Storico - non si deve fare la cattedrale nel deserto, bisogna puntare anche nelle strade più degradate come Case Nuove, quindi occorrerebbero risorse che solo la Comunità Europea potrà mettere a disposizione».
PROSSIMI OBIETTIVI - E uno dei prossimi obiettivi per Rispoli «sarà quello di portare la questione all'attenzione della Regione, perché il cosiddetto Grande Progetto Centro Storico non è che la prima spesa delle risorse europee che la Regione intende investire». Un'ultima speranza per il presidente del consiglio provinciale: «Lancio un appello a Taglialatela e Caldoro, se non sarà possibile prevedere la Bayard all'interno del Grande Progetto, destinate un finanziamento nell'ambito delle risorse europee alla stazione borbonica, favorendo una occasione di rilancio anche per la Circumvesuviana».

Fonte:
Corriere del Mezzogiorno
del 24 aprile 2012
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martedì 1 maggio 2012

L'eccidio di Pietrasa - La strage dimenticata

In queste ore si celebra in Italia la "festa dei lavoratori". Per rispetto nei confronti di chi, in grandissima parte al Sud, il lavoro non lo ha e nel rispetto di chi il lavoro, anche in questo caso in grandissima parte al Sud, il lavoro ha dovuto cercarlo nel resto del mondo, bisognerebbe celebrare disoccupati ed emigranti. Senza ipocrisie, senza retorica, senza concerti in piazza e senza quelle parole che da oltre 150 anni ci propongono dimenticando, di fatto, i Popoli dell'ex Regno  delle Due Sicilie.
Le ultime statistiche dello Svimez e dell'Istat sono chiare e oggettive: esistono due Italie e nessuno (classe dirigente locale o nazionale che sia) ha fatto e fa nulla. Ecco perché in queste giornate, da circa 20 anni e quando nessuno, purtroppo, neanche li conosceva, il Movimento Neoborbonico preferisce ricordare, con ricerche e preghiere, i "primi martiri della storia operaia non solo italiana": quelli delle grandiose officine di Pietrarsa, massacrati nell'agosto del 1863 solo perché volevano difendere un lavoro che fino a quando c'erano i Borbone conservavano e che avevano perduto o stavano perdendo in una storia tragica che è più che mai attuale in questi giorni.
Segue la storia della strage.