mercoledì 31 agosto 2011

NOVITA’ EDITORIALE

“L'ultimo Brigante del Sud "

Sabato 3 settembre 2011, alle ore 17.30, presso la Sala del Palazzo Sisto di Scafati, Spazio Creativo Edizioni presenterà “L’ultimo brigante del sud - Storia della banda Pilone”, libro d'esordio del giornalista napoletano Gabriele Scarpa.
Il saggio, secondo titolo della collana Visto da Sud, ripercorre le gesta di Antonio Cozzolino, detto "Pilone", uno degli ultimi fedelissimi dei Borbone ad arrendersi alle truppe piemontesi.
Per la presentazione del libro, che vede la prefazione di Lorenzo Del Boca, saranno presenti il professor Gennaro De Crescenzo, autore dell'introduzione, Cristoforo Salvati, Assessore alla Cultura, Mariano Falcone, Consigliere con delega al Centro Storico.
Introdurrà Pasquale Petrillo, giornalista.
Interverrà Eddy Napoli, cantautore e Gabriele Scarpa, giornalista e autore del libro.
Amici e compatrioti sono invitati.

Cap. Alessandro Romano




                                                     Prezzo   € 13,90
                                                     Prezzo IBS  € 13,21
                                                     Dati 152 p., brossura
                                                     Anno 2011
                                                     Editore Spazio Creativo Edizioni
                                                     Collana Visto da Sud
                                                     Genere STORIA D'EUROPA



Le Bandiere del Regno

QUANDO LA STORIA FA PAURA
di
Alessandro Romano


Ormai sono moltissimi gli eventi dove si vedono spuntare i vessilli dinastici del Regno delle Due Sicilie. Molti giovani da tempo portano con orgoglio le cosiddette Bandiere Borboniche per sventolarle tra una pizzica, un coro ed una tarantella. Tuttavia c’è ancora chi “trema” a quella vista e con la mente offuscata da 150 anni di menzogne, mistificazioni e calunnie gratuite spera in un fenomeno solo formale, coreografico, quasi un folclore, esorcizzando quelle bandiere in un “disagio vissuto dal Sud”, rifiutandosi di dare loro il vero significato che, invece, consapevole chi le sventole vuole dargli: l’identità del nostro Popolo una volta perduta e finalmente ritrovata.
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Dal sito del Comune di Pignataro.
Uno spettacolo che ha non solo interessato, ma soprattutto coinvolto emotivamente il concerto di Eugenio Bennato a Giano Vetusto ieri sera con tanti giovani davanti al palco a ballare grazie ad un ritmo che ti prende in maniera diretta e spontanea.
Eugenio Bennato ci comunica una musica del SUD o meglio dei SUD del mondo con sperimentazione di un genere musicale che unisce la tradizione al nuovo e al moderno.
Infatti SUD è il termine più ricorrente nel senso di una cultura che vuole non solo riproporsi ma andare lontano tramite un "ritmo di contrabbando", titolo di una canzone esemplificativa.
Trattasi comunque di una felice mistione tra musica tradizionale e rock con una band di artisti di varie nazioni che sanno comunicare la propria cultura musicale . Tale genere musicale è ormai diventato un progetto musicale che prende il nome di TARANTA POWER, espressione di un nuovo linguaggio musicale tramite la contaminazione di stili propri di vari SUD.
Con ENZO LAMBIASE alla chitarra elettrica, con la voce di Mohammed Eizzame El Alaoui e Zena Chabane, con Walter Vivarelli alle percussioni, Stefano Simonetta al basso e Sonia Totaro quale vocalist, EUGENIO BENNATO ha proposto i brani del tour 2011 " GRANDE SUD".
Molto bello il momento in cui il gruppo pignatarese degli Arianova si è unito alla band proponendo un canto popolare tradizionale di Pignataro che si sovrapponeva e si integrava al ritmo della canzone "GRANDE SUD".
Un momento di SIMPATICA ed EMPATICA riflessione lo dedichiamo a quei giovani che ostentavano pur belle bandierine e vessilli neoborbonici. Vogliamo pensare che erano là certamente per arricchire la coreografia, si addicevano bene ai convolgenti momenti di festa e di ballo, interpretavano un sentimento di EVIDENTE disagio vissuto dal Sud dopo l'unificazione, ma nient'altro.........

Angelo Martino


Il concerto


Bandiere a Napoli 




martedì 30 agosto 2011

IL BACCALA'

Quando il “Baccalà” a Napoli era il piatto nazionale.
Le origini di una pietanza napoletana
prettamente nord europea.
di
Alessandro Romano


Da secoli a Napoli ed in tutto il sud il baccalà è considerata una “prelibatezza nostrana”, ma, tenuto conto che questa singolare pietanza proviene dai mari del nord con una probabile origine vichinga, come ha fatto mai ad arrivare così a sud e a radicarsi quale piatto nazionale nel Regno delle Due Sicilie?
Certo è che nell'800 grosse derrate di pesce atlantico stagionato arrivavano via mare proprio nei porti meridionali e che da questi porti poi, per opera di intermediari, il prodotto partiva per raggiungere con ogni mezzo le altre regioni italiane, fino ad arrivare nei mercati francesi e tedeschi, seguendo un curioso percorso a ritroso.
Sicuramente fattore fondamentale del propagarsi del baccalà napoletano fu il prezzo, incredibilmente concorrenziale a tutti gli altri mercati.
Il Meridione dei Borbone, infatti, aveva adottato un sistema commerciale fortemente competitivo che diede non pochi dispiaceri ai detentori del potere economico internazionale. Pertanto anche il baccalà finì tra le merci che rovinarono i sonni dei commercianti inglesi dato che quello trasportato dalle stracariche navi napoletane era di prima qualità e costava almeno la metà di quello prodotto in Inghilterra. 
Per questo motivo le navi napoletane, che comunque trasportavano ogni tipo di merce, venivano sistematicamente osteggiate dagli inglesi che gli imposero insostenibili tasse di ormeggio nei loro porti sparsi nel mondo.
E chiaro, quindi, che tra le varie contromisure che adottarono i napoletani, vi fu quella di stabilire concordati commerciali direttamente con i paesi produttori, scavalcando gli intermediari, quasi sempre collocati nei porti controllati dagli inglesi.
Fu così che le navi napoletane scaricavano agrumi, lana, olio, vino e canapa nei paesi scandinavi ed imbarcavano resine, legna pregiata ed, appunto, baccalà, tanto baccalà.
Di conseguenza il prezzo del pesce essiccato imposto nei porti meridionali italiani era di poco superiore a quello di produzione nei mari del nord e certamente di gran lunga meno caro di quelli del resto dei porti del Mediterraneo.
Fu così che “il baccalà napoletano d’importazione”, per potere nutrizionale e prezzo, diventò il piatto dei poveri e, grazie anche alle sue non indifferenti qualità di lunga conservazione, raggiunse tutti i mercati interni del sud, del resto d’Italia e di mezza Europa, fino ad arrivare in Russia nella mensa dello Zar.









domenica 28 agosto 2011

IL SUD E' LA COLONIA DEL NORD




Il Sud è la colonia del Nord
ma prima dell'Unità era la parte più ricca d'Italia

di
Natale Cuzzola


Per 150 anni, dall'unità d'Italia, è stato fatto di tutto per azzerare la memoria degli italiani e dare l’idea che il Sud sia sempre stato arretrato e povero. Sono state chiuse le scuole per oltre un decennio, compiute stragi, saccheggi, un genocidio dalle proporzioni bibliche consumato dai piemontesi nei confronti dei meridionali.
Dopo pochi mesi dall'ingresso del mercenario Giuseppe Garibaldi i meridionali, avvedutisi delle ruberie che venivano perpetrate nei loro confronti, ridotti alla fame dai colonizzatori "fratelli d'Italia", reagirono in massa contro l'infame occupazione, la resistenza contro gli oppressori durò 10 anni! Eppure sui libri di storia Garibaldi, Vittorio Emanuele e Cavour vengono definiti come coloro che ci liberarono dall'oppressione dei Borbone: se vennero a liberarci perché la guerra durò 10 anni!? Furono sciolti nella calce 40 mila meridionali nel lager di Fenestrelle, in totale un milione di meridionali ammazzati per realizzare una colonia.
Decine e decine di paesi devastati, molti rasi al suolo. A Pontelandolfo e Casalduni si raggiunse l'apice della bestialità fratricida, tutti i 5000 abitanti furono massacrati, bruciati vivi, non una casa rimase in piedi. Ed a Vicenza ogni anno viene deposta una corona d'alloro al criminale di guerra (di tante gesta eroiche, compreso lo stupro come arma di guerra) Pier Eleonoro Negri al quale lo stato conferì la medaglia d'oro al valor militare!
Dal Sud non andava via nessuno. Oltre ad un sistema produttivo in espansione che aveva nel comparto industriale un numero di addetti all’industria superiore al Nord Italia la sussistenza era garantita dagli Usi Civici.
I Borbone avevano concesso per legge l'uso dei terreni demaniali per coltivare, fare legna e pascolo. La gente il cui terreno di proprietà fosse stato insufficiente per i bisogni familiari raccoglieva quel che produceva sui
terreni dello Stato. Con l’occupazione i meridionali si videro negato il Diritto agli Usi Civici e le terre demaniali vendute ad usurpatori.
Il popolo, ridotto alla fame, ebbe due possibilità, Emigrante o Brigante.
Oltre 24 milioni di braccia e menti dopo l’Unità andarono ad arricchire altre regioni e stati, prima erano lavoranti e consumatori, oggi laureati e sempre consumatori in altre regioni già ricche mentre noi sosteniamo il costo per la loro formazione comprese le spese alle università del Nord.
I briganti sono sempre esistiti dappertutto, perfino in Germania, al Nord il fenomeno era diffuso, famosi erano il Passator Cortese, Ghino di Tacco, Carcini ed altri ancora. Al sud vi erano(anche) briganti criminali ma i soldati che non vollero abiurare il re Borbone e giurare fedeltà a Vittorio Emanuele, assieme alla gente impoverita iniziarono la guerra di resistenza, che duro 10 anni ma costoro furono accomunati ai veri briganti. Alcuni di questi guerriglieri furono dei grandissimi eroi. Vi sono dei gruppi su facebook (Fuoco del Sud - Fuoco del Sud Calabria ed altri) dove gli iscritti si definiscono "Brigante", Patriota, con orgoglio insopprimibile. Prima acquisiremo consapevolezza di cosa eravamo, prima riemergerà l'orgoglio dei tanti primati e delle tantissime ricchezze economiche e culturali sepolte sotto un mare di fango e prima apriremo la porta per la rinascita grazie alle immense risorse e potenzialità invidiabili di una terra dalle mille bellezze. Quella frattura immonda creata 150 anni fa creò la Questione Meridionale di una terra che prima era ricca ma le cui conseguenze producono effetti dannosissimi a tutta la nazione, la Germania veramente unita a distanza di 20 anni cresce al 5% la mala unità fa crescere l’Italia ad un vergognoso 0,8%. L'immagine mostra l'andamento del PIL al Sud dall'Unità ad oggi e dice più di tante parole, come sia stato realizzato alla perfezione il progetto unitario di un Sud come colonia a servizio del consumo dei beni che devono essere prodotti solo al Nord.




mercoledì 24 agosto 2011

Inaugurazione del restauro della fontana borbonica di Lauria

Venerdì 26 agosto, alle ore 18.00, inaugurazione del restauro della fontana borbonica di Lauria a cura di Antonio Boccia e con Gennaro De Crescenzo e Salvatore Lanza. 150 ani fa i “liberali” di Lauria, secondo una diffusa tradizione storiografica, avrebbero danneggiato la bella fontana borbonica eretta nel 1845 da Ferdinando II di Borbone, il re dei primati e dell’orgoglio del Sud pre-unitario. La vasca fu divelta perché conteneva il classico stemma del Regno (i gigli della dinastia borbonica). La frase che vi troneggiava è andata perduta e il restauro appena terminato si è limitato al rifacimento della vasca e dello stemma. Restituiamo così ai laurioti di oggi la visione in marmo che si offriva ai numerosi viaggiatori che entravano da Porta Taverna un secolo e mezzo fa. I lavori sono stati ideati dal coordinatore per la Basilicata del Movimento Neoborbonico, avv. Antonio Boccia, coordinati e realizzati (gratuitamente) dall’ottima impresa del geom. Renato Chiarelli, neoborbonico e membro del “Parlamento delle Due Sicilie”. Il Comune di Lauria si è impegnato a riattare anche la portata idrica. Il restauro segue quello realizzato nella cappella di S. Ferdinando (primo monumento borbonico di Lauria recuperato, oggetto dei lavori terminati nel 2003, sotto il patrocinio della Soprintendenza ai Beni Culturali) e l’inaugurazione (nel 2006, per il bicentenario) del monumento ai caduti del 1806. Tre segnali importanti in quella che fu la “fedelissima città di Lauria”, già città martire dei massacri compiuti dai francesi nella loro invasione del 7 e dell’8 agosto del 1806. Un evento simbolicamente ancora più importante prorpio nell’anno delle celebrazioni per i 150 anni di un’unificazione che andava (e andrebbe) celebrata nel rispetto della verità storica.      

 


La fontana borbonica di Lauria


martedì 23 agosto 2011

I PRIMATI ECONOMICI E SOCIALI NEL REGNO DELLE DUE SICILIE

I PRIMATI RAGGIUNTI IN TUTTO L'ARCO TEMPORALE DEI BORBONE
NEL REGNO DELLE DUE SICILIE.
di
Alessandro Romano

Fonte: Archivio di Stato di Napoli
(A questi primati vanno agiunti altri le cui notizie sono custodite presso gli archivi di: Lucera, Palermo, Messina, Lecce, Matera, Salerno, Benevento, Caserta, Teramo, Catanzaro, Pescara, Roma, Madrid, Vaticano).


1754
Prima Cattedra di Economia, nel mondo, affidata a Napoli ad
Antonio Genovesi
1762
Accademia di Architettura, una delle prime e più
prestigiose in Europa
1763
Primo Cimitero italiano per poveri ( il "Cimitero delle 366
fosse" , nei pressi di Poggioreale a Napoli, su disegno di Ferdinando Fuga)
1781
Primo Codice Marittimo nel mondo (opera di Michele Jorio)

1782
Primo intervento in Italia di Profilassi Anti-tubercolare

1783
Primo Cimitero in Europa ad uso di tutte le classi sociali
(Palermo)
1789
Prima assegnazione di "Case Popolari" in Italia (San Leucio
presso Caserta)
1789
Prima istituzione di assistenza sanitaria gratuita (San
Leucio)
1792
Primo Atlante Marittimo nel mondo (G Antonio Rizzi Zannoni,
Atlante Marittimo delle Due Sicilie. (vol. I) elaborato dalla prestigiosa Scuola di Cartografia napoletana)
1801
Primo Museo Mineralogico del mondo

1807
Primo "Orto Botanico" in Italia a Napoli

1812
Prima Scuola di Ballo in Italia, annessa al San Carlo

1813
Primo Ospedale Psichiatrico italiano (Reale Morotrofio di
Aversa)
1818
Prima nave a vapore nel mediterraneo "FerdinandoI"

1819
Primo Osservatorio Astronomico in Italia a Capodimonte

1832
Primo Ponte sospeso, in ferro, in Europa continentale
("Real Ferdinando" - sul Garigliano )
1833
Prima Nave da crociera in Europa " Francesco I "

1835
Primo istituto italiano per sordomuti

1836
Prima Compagnia di Navigazione a vapore nel Mediterraneo

1839
Prima Ferrovia italiana, tratto Napoli-Portici

1839
Prima Illuminazione a Gas di una città italiana (terza in
Europa dopo Londra e Parigi) con 350 lampade
1840
Prima Fabbrica Metalmeccanica d'Italia per numero di operai
(1050) a Pietrarsa presso Napoli
1841
Primo Centro Sismologico in Italia presso il Vesuvio

1841
Primo sistema a fari lenticolari a luce costante in Italia

1843
Prima Nave da guerra a vapore d'Italia (pirofregata
"Ercole"), varata a Castellammare
1843
Primo Periodico Psichiatrico italiano pubblicato presso il
Reale Morotrofio di Aversa da Biagio Miraglia
1845
Prima Locomotiva a Vapore costruita in Italia a Pietrarsa

1845
Primo Osservatorio Meteorologico italiano (alle falde del
Vesuvio)
1852
Primo Telegrafo Elettrico in Italia (inaugurato il 31
Luglio)
1852
Primo Bacino di Carenaggio in muratura in Italia (nel porto
di Napoli)
1852
Primo esperimento di Illuminazione Elettrica in Italia a
Capodimonte
1853
Primo Piroscafo nel Mediterraneo per l'America (Il
"Sicilia" della Società Sicula Transatlan-tica del palermitano Salvatore De Pace: 26 i giorni impiegati)
1853
Prima applicazione dei principi della Scuola Positiva
Penale per il recupero dei malviventi
1856
Primo Premio Internazionale per la Produzione di Pasta
(Mostra Industriale di Parigi)
1856
Primo Premio Internazionale per la Lavorazione di Coralli
(Mostra Industriale di Parigi)
1856
Primo Sismografo Elettromagnetico nel mondo costruito da
Luigi Palmieri
1859
Primo Stato Italiano in Europa, per produzione di Guanti
(700.000 dozzine di paia ogni anno)
1860
Prima Flotta Mercantile e prima Flotta Militare d'Italia
(seconda nel mondo)
1860
Prima nave ad elica (Monarca) in Italia varata a
Castellammare
1860
La più grande Industria Navale d'Italia per numero di
operai (Castellammare di Stabia, 2000 operai)
1860
Primo tra gli Stati italiani per numero di Orfanotrofi,
Ospizi, Collegi, Conservatori e struttu-re di Assistenza e Formazione
1860
La più bassa percentuale di mortalità infantile d'Italia1860

La più alta percentuale di medici per abitanti in Italia
1860
Prima città d'Italia per numero di Teatri (Napoli)
1860
Prima città d'Italia per numero di Conservatori Musicali
(Napoli)
1860
Primo "Piano Regolatore" in Italia, per la Città di Napoli
1860
Prima città d'Italia per numero di Tipografie (113, in
Napoli)
1860
Prima città d'Italia per numero di pubblicazioni di
Giornali e Riviste (Napoli)
1860
La più alta quotazione di rendita dei titoli di Stato (120%
alla Borsa di Parigi)
1860
Il Minore carico Tributario Erariale un Europa
1860
Maggior quantità di Lire-oro conservata nei Banchi
Nazionali ( dei 668 milioni di Lire-oro, patrimonio di tutti gli Stati italiani messi insieme, 443 milioni erano del regno delle Due Sici-lie).




Statua di Ferdinando II realizzata con la ghisa dei binari
eretta dagli operai di Pietrarsa


Opificio di Pietrarsa

L'arrivo a Portici del primo treno





La Borsa del Regno

Il "Ferdinando I", la prima nave a vapore di linea




Il primo telegrafo sottomarino (Ponza - Gaeta)





Il primo Ponte in ferro sul Garigliano


Cartiere Isola Liri

Industria tessile a Salerno

Pressa idraulica di Bari


lunedì 22 agosto 2011

Borbonico come offesa



"BORBONICO"
di
Vittorio Messori 
"Le cose della vita"
ed. Paoline, Milano 1995, p. 304.


"Borbonico", si sa, è un termine ingiurioso: è sinonimo di oscurantismo, inefficienza, ottusità, malaffare. Questi significati sono recenti e sono propri solo della lingua italiana. In Spagna, ad esempio, la gente di ogni convinzione politica sembra soddisfatta del suo Juan Carlos, che è un re borbonico, discendente dalla antica, ramificata dinastia che prese origine da modesti feudatari del castello di Bourbon. Proprio in Francia, una delle glorie nazionali è un altro Borbone, quel Luigi XIV significativamente chiamato "il re Sole"; e sono in molti ancora a piangere la fine dell'ultimo della dinastia, Luigi XVI, il sovrano ghigliottinato, che, pure, ebbe il solo merito di riscattare con il dignitoso coraggio in morte le fiacchezze e gli errori della vita.
Se da noi - e da noi soltanto - "borbonico" suona male, il motivo va cercato nella propaganda risorgimentale che doveva giustificare l'aggressione contro il Regno delle Due Sicilie, retto appunto da un ramo dei Borbone, quello di Napoli. Sia l'ala "rivoluzionaria" (quella di Garibaldi e Mazzini), sia quella "moderata", "liberale", alla Cavour, alla d'Azeglio, per una volta unite, crearono attorno ai sovrani partenopei una delle numerose "leggende nere" che ancora infestano tanti manuali scolastici e che popolano l'immaginario popolare. Anche qui, la revisione storica è da tempo all'opera, ma i suoi risultati non sembrano essere giunti ai molti - anche giornalisti - che continuano a dire "borbonico", così come scrivono "medievale", per sinonimo di barbarie.
Qualche tempo fa, uno studioso meridionale, Michele Topa, ha pubblicato sul quotidiano di Napoli, "Il Mattino", una serie di articoli frutto di non conformistiche ricerche. Quei saggi sono stati raccolti in un grosso volume dal titolo "Così finirono i Borbone di Napoli", pubblicato dall'editore Fiorentino. Lo storico articola la sua ricerca soprattutto attorno agli ultimi due re, quelli sui quali si è scatenata la campagna di diffamazione gestita dai Savoia, usurpatori del loro regno. Al centro del libro, dunque, Ferdinando II, re delle Due Sicilie dal 1830 al 1859 (il "re bomba", secondo la leggenda ingiuriosa creata anche dalla massoneria inglese) e il figlio Francesco II, spodestato da garibaldini e sabaudi nel 1860, dopo un solo anno di regno e aggredito e diffamato anche per avere rifiutato - lui, cattolicissimo - l'offerta del Piemonte di spartirsi lo Stato Pontificio.
Non certo per pigrizia, ma perché non sapremmo dir meglio, riportiamo qui parte della recensione al volume di Michele Topa apparsa su un numero di questo giugno della "Civiltà Cattolica" (oggi, tutt'altro che "reazionaria"), a firma di padre S. Discepolo.
Ecco, dunque: «Molti manuali di storia presentano Ferdinando II come un mostro, un boia incoronato, un tiranno senza freni, alla testa di un governo che era la negazione di Dio. Queste falsità furono orchestrate e diffuse da inglesi e piemontesi con fini machiavellici; ma poi furono sconfessate dagli stessi autori. Gladstone ritrattò, affermando che le sue lettere erano false e calunniose, che era stato raggirato e che "aveva scritto senza vedere". Settembrini, autore di un infame libretto, confessò che fu "arma di guerra". Ferdinando II, in realtà, secondo lo storico, fu un re onesto, intelligente, capace, galantuomo, profondamente amante del suo popolo. Il regno fu caratterizzato da benessere, fioritura culturale, artistica, commerciale, agricola e industriale. Poche le tasse, la terza flotta mercantile d'Europa, una delle più forti monete, il debito pubblico inesistente, l'emigrazione sconosciuta. Il miracolo economico del Sud Italia fu elogiato nel Parlamento inglese da lord Peel. L'industria era all'avanguardia, con il complesso siderurgico di Pietrarsa, che riforniva buona parte d'Europa, e il cui fatturato era dieci volte rispetto all'Ansaldo di Sampierdarena. Oltre al primo bacino di carenaggio d'Europa, Napoli ebbe la prima ferrovia d'Italia. 120 chilometri raggiunsero presto i 200 ed erano già pronti i progetti per estendere la ferrovia in tutto il regno. I prodotti come la pasta e i guanti erano esportati in tutto il mondo. Prima del crollo, il Regno delle Due Sicilie aveva il doppio della moneta di tutti gli Stati della Penisola messi insieme. Sono significative alcune cifre del primo censimento del Regno d'Italia: nel Nord, per 13 milioni di cittadini, c'erano 7.087 medici; nel Sud, per 9 milioni di abitanti, i medici erano 9.390. Nelle province rette da Napoli gli occupati nell'industria erano 1.189.582. In Piemonte e Liguria 345.563. In Lombardia 465.003».
Continua la sua sintesi del libro di Michele Topa il recensore della "Civiltà Cattolica": «Certo, c'era il rovescio della medaglia: un governo paternalistico, una polizia - nella bassa forza - corrotta, una forte censura. Erano però le caratteristiche dei governi del tempo ed erano avvertire solo dai ceti intellettuali. Ferdinando Il, se è attaccabile sul piano strettamente politico, non lo è su quello morale. Le repressioni del 1848, così enfatizzate, sono da considerarsi moderate in confronto con quelle di altri Stati o con il modo con il quale l'Inghilterra represse i moti coloniali. Ferdinando II graziò moltissime persone per i reati politici e di 42 condanne a morte non ne fu eseguita nessuna».
Se così stavano le cose (e dati, cifre, documenti, starebbero a confermarlo) come mai il crollo del Regno del Sud davanti all'aggressione garibaldina? Continuiamo, allora, a trascrivere: «Causa prima della fine fu la prematura morte di Ferdinando Il. Suo figlio Francesco II, mite, dolce, cavalleresco, mal consigliato e tradito dai suoi collaboratori comprati dall'oro piemontese, si trovò a combattere non solo contro Garibaldi, ma contro Vittorio Emanuele II (suo cugino), Cavour, la Francia, l'Inghilterra. Lo sbarco dei Mille avvenne sotto la protezione della flotta inglese e, nella decisiva battaglia di Milazzo, Garibaldi aveva sull'esercito napoletano la supremazia di 5 a 1. Il tradimento, la corruzione e l'inettitudine dei generali portarono Garibaldi a Napoli. Ma nella battaglia sul Volturno i napoletani ebbero la meglio, a Caiazzo i garibaldini furono sconfitti, a Capua travolti. Il mito dell'infallibilità di Garibaldi fu infranto, a stento riuscì a salvare la vita...».
Ci permettiamo, poi, di rimandare pure a quanto scrivevamo al proposito, in una raccolta precedente, sui tre milioni di franchi oro versati in segreto ai capi dei Mille per comprare la resa dei borbonici (cfr. Pensare la storia, p. 258s). Ma che avvenne dopo? Ecco: «A Napoli, bastarono 62 giorni di dittatura garibaldina per distruggere le floride finanze e l'economia del Paese, che crollò industrialmente. Il disavanzo napoletano alla fine del 1860 era già salito a 10 milioni di ducati, nel 1861 a 20 milioni. Ben presto gli abitanti del Regno toccarono con mano quanto più duro fosse il nuovo regime. Molti divennero "briganti". Per domarli, dovette intervenire un esercito di 120.000 uomini...».
Adesso, siamo avvertiti: prima di ingiuriare qualcosa a qualcuno definendoli "borbonici", conviene informarsi meglio.


Soldati Borbonici a Gaeta


Brigante Borbonico



domenica 21 agosto 2011

CASALDUNI A FERRO E FUOCO

Si parla spesso di Pontelandolfo come paese simbolo della feroce repressione operata dalla soldataglia piemontese al soldo del Savoia, ma la tragedia interessò anche decine e decine di altri paesi che furono assaltati e devastati senza pietà. Tra questi la vicina Casalduni che subì la stessa sorte di Pontelandolfo anche se molti dei suoi abitanti riuscì a sottrarsi al massacro scappando verso i monti.
Pubblichiamo il racconto riportato da Antonio Ciano, uno dei primi ricercatori ad aver riportato
alla memoria quanto di feroce si operò nelle terre del Sud conquistato.

Alessandro Romano



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CASALDUNI A FERRO E FUOCO
di
Antonio Ciano


Il 25 aprile del 1861, Carlo Melegari, bersagliere di Sua Maestà Vittorio Emanuele II, fu promosso Maggiore e prese il comando del 18° battaglione di stanza a Borgo San Donnino. Dopo due mesi di dure esercitazioni in montagna, il neo promosso maggiore ebbe ordine dal Comando della Divisione di Piacenza di partire per Napoli agli ordini del luogotenente Generale Cialdini. Era il 3 agosto ed il caldo soffocante fiaccava le forze della truppa. Cialdini, sapendo che l'ozio origina sempre i vizi, per mantenere in forma i suoi soldati, li spedí sulle Mainarde a conoscere il terreno e a riparare i fili del telegrafo che i partigiani sudisti avevano distrutto. L'11 agosto il maggiore Melegari ricevette l'ordine tassativo di rientrare immediatamente in Napoli con il suo battaglione. I giornali riportavano la notizia della rivolta contadina di Pontelandolfo e Casalduni; poiché ormai la stampa era solo filogovemativa, la notizia venne artatamente data dalle redazioni della Luogotenenza. Il Cialdini era consapevole che bisognava ubriacare l'opinione pubblica di sdegno contro i briganti, e perché ciò si avverasse abbisognava che i quotidiani piú importanti, a tiratura locale e nazionale, parlassero continuamente delle nefandezze e delle malvagità contadine. Le popolazioni del Sud venivano dipinte come primitive, barbare, invasate di religione, analfabete; i partigiani regi venivano fatti passare per briganti che scannavano e decapitavano i soldati piemontesi. Il 12 agosto al maggiore Melegari fu ordinato di presentarsi dal generale Cialdini; con solerzia si recò alla luogotenenza, dove lo ricevette il generale Piola-Caselli, che lo fece accomodare e gli disse: - Maggiore, lei avrà sentito parlare di sicuro del doloroso ed infame fatto di Casalduni e Pontelandolfo; ebbene, il generale Cialdini non ordina, ma desidera che quei due paesi debbano fare la fine di Gaeta, ossia devono essere rasi al suolo ed i suoi cittadini massacrati. Ella, Sig. Maggiore, ha carta bianca ed è autorizzata a ricorrere a qualunque mezzo, e non dimentichi che il generale desidera che siano vendicati i soldati del povero Bracci. Infligga a quei due paesi la piú severa delle punizioni e ai suoi abitanti faccia desiderare la morte. Ha ben capito?. Melegari:- Signorsí, so benissimo come si devono interpretare i desideri del generale Cialdini. Sono stato con lui in Crimea e con lui ho fatto tutta la campagna del 1859, cosa devo fare. Cialdini in un'altra stanza stava istruendo il generale De Sonnaz che doveva dirigere le operazioni. Melegari partí con una compagnia di quattrocento soldati e il 13 mattina giunse a Solopaca; a mezzogiorno nei pressi di Guardia. Alle due del mattino del 14 agosto Melegari ed i suoi quattrocento eroi avevano invaso San Lupo; fece svegliare il capitano della Guardia Nazionale al quale disse: -Capitano, mi occorrono duecento uomini, devo attaccare i briganti. - Maggiore, i briganti sono tanti e bene armati. Ci faranno a pezzi se andiamo sul loro terreno! - rispose l'ufficiale della guardia nazionale. Melegari: - Capitano, niente di tutto questo, non sono venuto qui per combattere contro Giordano, ora è troppo forte. Sono venuto qui per punire gli abitanti di Casalduni; a Pontelandolfo sta dirigendosi De Sonnaz. So cosa devo fare. Lei deve occupare il promontorio da cui si domina la valle ed aspettare miei ordini. Qualcuno, forse qualche parente del capitano della guardia nazionale, corse ad avvertire il sindaco di Casalduni, Ursini. Da quel momento iniziò l'esodo dei casaldunesi verso le montagne difese dai partigiani di Giordano .….. Ursini, conoscendo la storia del Piemonte, conoscendo la barbarie dei suoi ufficiali e la viltà di Cialdini, conoscendo bene le idee liberali massoniche e sapendo che quelle erano idee di conquista, idee di s'opraffazione dell'uomo sull'uomo, idee di arricchimento di pochi a spese dei piú, di libertà di pochi sui piú; idee di democrazia limitata, democrazia di ladri e ladroni; libertà di imbrogliare la gente, libertà di fare brogli elettorali, libertà di ingannare il popolo; idee di conquistare un regno felice e ricco, dove per tutti c'era lavoro; idee di rubare ai Meridionali le loro ricchezze per trasferirle al Nord, fece spargere per la città la voce che i piemontesi stavan6 per arrivare. Tutti, o quasi, corsero sui monti. Rimasero in paese solo qualche malato e qualcuno che non credeva ad una dura repressione; qualche altro pensava di farla franca restando chiuso in casa. Alle quattro del mattino il 18° battaglione, comandato dal maggiore Melegari e guidato verso Casalduni dal liberale Jacobelli e dalla spia Tommaso Lucente, ricco nobilotto di Sepino, aveva già circondato il paese. Melegari si attenne agli ordini ricevuti dal generale Piola-Caselli e fece disporre a schiera le quattro compagnie di cento militi ciascuna. Dovevano aprire il fuoco di fila per incutere paura ai partigiani, che, secondo le informazioni ricevute, avrebbero dovuto difendere Casalduni da attacchi esterni; e poi attaccare il paese, baionetta in canna, di corsa, concentricamente. Le quattro compagnie ebbero il comando di carica alla baionetta dall'eroico Melegari e cominciarono la carneficina ed il saccheggio delle case e delle chiese come erano soliti fare per poi passare ad incendiarle. La prima casa ad essere bruciata fu quella del sindaco Ursini, indicata alla truppa dal servo nonché traditore Tommaso Lucente da Sepino. Sentendo gli spari e le grida dei bersaglieri, i pochi rimasti in paese uscirono quasi nudi; cercavano la montagna e trovarono la morte, infilzati dalle baionette dei piemontesi. Un certo Lorenzo D'Urso commerciante, fattosi sull'uscio per salutare i soldati, fu crivellato di colpi e poi infilzato dalle baionette; e cosí moltissimi cittadini inermi. L'eccidio fu meno feroce che a Pontelandolfo perché appunto, la gente, avvertita, era scappata. Dopo aver messo a ferro e fuoco Casalduni ed aver sterminato gli abitanti ivi rimasti, l'azzurro ed eroico maggiore Melegari chiamò a sé il tenente Mancini e gli ordinò di andare a Pontelandolfo per ricevere istruzioni dal generale De Sonnaz. Dopo un' ora il tenente ritornò, scese da cavallo e rivolgendosi al suo maggiore disse: - Possiamo tornarcene a San Lupo1 il colonnello Negri ha distrutto completamente Pontelandolfo. Ho visto mucchi di cadaveri, forse cinquecento, forse ottocento, forse mille, una vera carneficina!. Melegari: - Ci hanno fregati quelli del 36° fanteria! Casalduni era quasi vuota, qualcuno ha avvertito la popolazione!. Dalle alture i partigiani osservavano ciò che stava accadendo nei due paesi sanniti. Vedevano tanto fumo, sentivano gli spari dei bersaglieri, si sentivano impotenti di fronte a tanto orrore ……
Molti volevano attaccare i piemontesi, anche sapendo di andare incontro a morte certa, visto il divario delle forze in campo …….. Giordano e i suoi scortarono oltre duemila casaldunesi fino
alle porte di Benevento. Una volta in città Ursini chiese udienza al governatore. Fu incarcerato! I morti furono tanti a Pontelandolfo e Casalduni, molti di piú che a Montefalcione, San Marco e Rignano, pure eccidiate ed incendiate……. A Pontelandolfo e Casalduni i morti superarono sicuramente il migliaio, ma le cifre reali non furono mai svelate dal governo piemontese, come mai è stato svelato il numero dei morti della guerra civile del 1860-70. Il Popolo d'Italia, giornale filo governativo e quindi interessato a nascondere il piú possibile la verità sui morti, indicò in 164 le vittime di quell'eccidio, destando l'indignazione persino del giornale francese Patrie, filo unitario, e quella del mondo intero. Ma nessuno intervenne presso il governo dei carnefici piemontesi. L'invasione del Sud costò la vita, l'espatrio, il carcere ed il manicomio ad un milione di persone, costò la libertà e la dignità del popolo meridionale, ma, una cosa è certa, la gente del Molise, degli Abruzzi, del basso Lazio, della Terra di Lavoro, del Sannio, della Capitanata, della Basilicata ha venduto cara la propria pelle; ha dimostrato ai piemontesi ed al mondo di avere carattere e coraggio. Francesco II e la Regina Sofia sui bastioni di Gaeta disprezzarono la morte. Vittorio Emanuele III di Casa Savoia nel 1943 ha dimostrato di essere un codardo. Cosí il generale Cialdini, un vero assassino e criminale di guerra, a Custoza scappò come un coniglio di fronte all'esercito austriaco. Il colonnello Gaetano Negri, milanese purosangue, scrivendo al padre dopo l'eccidio di Pontelandolfo, non mostrò alcun segno di pentimento e di umanità. Questo signore fu eletto sindaco del capoluogo lombardo negli anni ottanta. Riportiamo qui di seguito uno stralcio di quella lettera:Napoli, agosto 1861- Carissimo papà, Le notizie delle province continuano a non essere molto liete. Probilmente anche i giornali nostri avranno parlato degli orrori di Pontelandolfo. Gli abitanti di questo villaggio commisero il piú nero tradimento e degli atti di mostruosa barbarie; ma la punizione che gli venne inflitta, quantunque meritata, non fu per questo meno barbara. Un battaglione di bersaglieri entrò nel paese, uccise quanti vi erano rimasti, saccheggiò tutte le case, e poi mise il fuoco al villaggio intero, che venne completamente distrutto. La stessa sorte toccò a Casalduni, i cui abitanti si erano uniti a quelli di Pontelandolfo. Sembra che gli aizza tori della insurrezione di questi due paesi fossero i preti; in tutte, le province, e specialmente nei villaggi della montagna, i preti ci odiano a morte, e, abusando infamemente della loro posizione, spingono gli abitanti al brigantaggio e alla rivolta. Se invece dei briganti che, per la massima parte, son mossi dalla miseria e dalla superstizione, si fucilassero tutti i curati (del Napoletano, ben inteso!), il castigo sarebbe piú giustamente inflitto, e i risultati piú sicuri e piú pronti (...).
Una vera bestia immonda. Se simili personaggi hanno fatto l'Italia una, oggi non dobbiamo piangere sulle due Italie: una ricca e prospera e l'altra povera. Questi personaggi hanno distrutto le ricchezze del Sud, hanno massacrato e fucilato gli uomini migliori, mentre hanno costretto all'emigrazione una grande moltitudine di Meridionali. Il 15 agosto 1861 il eneralissimo Enrico Cialdini, dalla sede dell'alto Comando di Napoli, telegrafò al ministro della uerra piemontese e quindi al mondo intero: "ieri all'alba giustizia fu fatta contro Pontelandolfo e Casalduni".




Il massacro



Casalduni


Cialdini


venerdì 19 agosto 2011

IL CONFINE TRA REGNO DELLE DUE SICILIE E STATO DELLA CHIESA

La storia del recupero dei "Cippi di confine", chiamati anche "Termini", è vecchia quanto il nostro Movimento. Mentre un gruppo di compatrioti cercava negli archivi la memoria storica del nostro Popolo, un altro drappello di eroi, armati di un'antica cartina di confine e di un'abbondante dose di ostinazione, si mise a cercare ed a rialzare i Termini di confine quali "monumenti di pietra" di un'antica Nazione.
Mi piace citare Tommaso Argentino D'Arpino ed il Dott. Farinelli, i capibanda di questa colossale opera di riesumazione e ricollocamento che, per gli sforzi fisici ed economici che ha comportato e che ancora sta comportando, appare non lontana dal lavoro che nel lontano 1840 tracciò la linea di confine più antica d'Italia.
Alessandro Romano

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Brevi Accenni di Storia dei Cippi di Confine
tra lo Stato Pontificio e il Regno delle Due Sicilie
di
Giuseppe Albrizio


Dopo alcuni secoli di controversie, non si riusciva mai a stabilire l’esatto confine per gestire le risorse del territorio, finalmente venne sottoscritto a Roma, il 26 settembre 1840, un trattato che tra l’altro prevedeva l’installazione di 686 Termini di confine numerati progressivamente dal mar Tirreno al mar Adriatico (la numerazione effettiva va da 1 a 649 perché alcuni Termini hanno lo stesso numero seguito da una lettera alfabetica maiuscola).
Il Termine n°1 fu posto alla foce del fiume Canneto tra Fondi e Terracina, il n° 649 al ponte di barche di Porto d’Ascoli presso la foce del fiume Tronto.
Sotto ogni Termine venne sotterrata una medaglia di lega metallica recante lo stemma dei due stati.
I lavori di apposizione dei Cippi iniziarono dal versante tirrenico nell’anno 1846 e le Colonnine poste in quel periodo portano scolpita questa data, tutte le altre portano la data del 1847.
I Termini furono posti in modo che la data di apposizione con le Chiavi di San Pietro guardassero in direzione del territorio dello Stato Pontificio mentre il numero progressivo con il Giglio in direzione del territorio del Regno Borbonico.
La linea scolpita sulla testa del Termine indicava la direzione del confine e quindi la posizione del Termine precedente e di quello successivo.
Le Colonnine non venivano posizionate ad una distanza regolare l’una dall’altra ma seguendo una logica a secondo la conformazione del terreno; nella fattispecie, nei luoghi dove il confine seguiva il corso di un fiume o di una valle ne venivano posizionate poche, mentre, dove il confine seguiva una linea irregolare, poste una vicino l'altro.
I Termini venivano ricavati da grosse rocce presenti lungo la linea di confine o da cave di pietra, grazie al lavoro di scalpellini, e poi trasportati a spalla da numerosi uomini sul luogo di apposizione.
Con l’unificazione d’Italia la maggior parte dei Cippi furono rimossi dal loro posto originario alla ricerca dei medaglioni ivi sotterrati, poi alcuni furono rotolati lungo i pendii, altri distrutti, altri asportati e portati davanti alle chiese, piazze, cimiteri di paesi limitrofi al confine, case private e fortunatamente alcuni lasciati nei luoghi originari.











giovedì 18 agosto 2011

A CASALDUNI MEGLIO DI PONTELANDOLFO

A Casalduni sono anni ormai che la Proloco, unitamente al Comune ed alle associazioni come il Movimento Neoborbonico, promuove eventi che ricordano con serietà, impegno e, soprattutto, con rispetto della verità storica i tragici fatti dell'agosto del 1861.
Esattamente al contrario della vicina Pontelandolfo, dove la menzogna storica regna ancora sovrana sulle ragioni politico-sociali che portarono gli abitanti originari a reagire contro un invasore crudele e sanguinario, a Casalduni si celebra la storia e si ricordano nel massimo del rispetto le vittime.
Alleghiamo un articolo pubblicato da IL SANNIO QUOTIDIANO che ripercorre fedelmente l'evento che quest'anno ha riscosso notevoli consensi di presenze e di critica.

Alessandro Romano




L’iniziativa della Pro loco.
Una delegazione piemontese alla rievocazione dei fatti dell’agosto 1861
150 anni di Unità d’Italia.
Con la storia scritta a Casalduni.
Fonte : IL SANNIO QUOTIDIANO


Un evento rievocativo dei moti rivoluzionari del 14 agosto 1861. Laddove si compirono per una buona parte. A Casalduni. L’altra storia. Quella bandita dagli interessi di “osservatori” preoccupati di salvaguardare la versione che da 150 anni si racconta. Quella che però riemerge, grazie all’impegno di tanti altri studiosi. Quella che trova sempre più fondamenti. Quella che mira, semplicemente, a dare alla storia il volto della chiarezza e alle vittime degli eccidi il giusto rispetto.
L’evento è promosso dalla Pro loco  di Casalduni e giunge a conclusione di un anno di manifestazioni. Il presidente Nicola Bove, con l’amico e consigliere Rino Calabrese, già da gennaio di quest’anno hanno percorso in lungo e in largo la Penisola per incontrare personalità politiche, culturali e sociali al fine di presentare loro il programma di questa tre giorni casaldunese. La prima tappa  in Piemonte, Torino, poi in Toscana, in Liguria, nel Lazio, in Campania e in Puglia. L’obiettivo che da qualche anno il presidente della Proloco Nicola Bove si è posto, è stato quello di iniziare un percorso di collaborazione su quel periodo storico che tanto funestò il meridione. Per tanti anni la Proloco di Casalduni ha organizzato convegni, inizialmente con uomini di cultura e storici provincia sannita, poi la   collaborazione con i neo-borbonici: Antonio Ciano, Alessandro Romano, Vincenzo Gulì e tanti altri, fino ad incontrare colui che ha dato un’accelerata alla divulgazione della storia risorgimentale e alla conoscenza dei fatti riguardanti Casalduni e Pontelandolfo dell’agosto 1861: il giornalista e scrittore Pino Aprile con il libro “Terroni”. Tre anni fa l’incontro. Si è proposto ed attuata una collaborazione con l’istituto scolastico di Casalduni sul tema storico. Grande disponibilità da parte di Aprile e della dirigente scolastica Elena Mazzarelli. Tanti gli incontri con il mondo della scuola a Casalduni come negli istituti  di  altri paesi. Risultato: nteresse crescente di docenti e alunni. Poi l’evento del  29 – 30 – 31 luglio. Ieri l’accoglienza delle delegazioni provenienti dal Piemonte, dalla Liguria, dalla Toscana, dal Lazio, dalla Campania, dalla Puglia.
Oggi alle ore 17:30 avrà inizio la manifestazione con la sfilata dei bersaglieri per il centro storico. Poi ci sarà l’alza bandiera con l’inno nazionale e la deposizione di una corona d’alloro a Largo Spinelle, luogo dove avvenne l’eccidio dei soldati Piemonte. Alle ore 18:00 il convegno con gli interventi di:  Ugo Cavallera, vice presidente della regione Piemonte, Ugo Robotti della ovrintendenza archivistica del Piemonte e della Valle d’Aosta. E’ previsto, poi, l’intervento del “cantastorico” (neologismo coniato per l’occasione dal presidente della Proloco) Eugenio Bennato che ha dedicato tantissime energie a quel periodo storico e quello del giornalista-scrittore, Pino Aprile. Massiccia sarà la partecipazione di personalità della cultura, del giornalismo, della politica, del sociale. Saranno presenti: il sindaco di Bucine in Toscana, il sindaco di Gaeta, e vari sindaci della provincia sannita, l’assessore alla cultura Carlo Falato e il presidente della camera di commercio Gennaro Masiello, il presidente Unpli provinciale Antonio Lombradi, il presidente nazionale FITP Benito Ripoli; il sindaco di Ponte,  Domenico Ventucci e il comitato civico “Il Ponte”; il sindaco di Pontelandolfo, Cosimo Testa e il comitato civico per l’unità d’Italia; il sindaco di Fragneto Monforte.  “La Proloco di Casalduni – è il commento del suo presidente -ha speso tutte le sue energie, e si augura una accorata partecipazione, che siano presenze di testimonianza ad una manifestazione che si è posto da sempre l’obiettivo di diffondere e interessare sempre più l’opinione pubblica per quel che è successo nella nostra regione, e in special modo a Casalduni e Pontelandolfo; non si può rimanere ancora indifferenti a scapito della nostra dignità e onorabilità”. Subito dopo il convegno ci sarà la rappresentazione storica riguardante gli eventi del 14 agosto 1861. Per le vie del centro storico di Casalduni si scontreranno: l’esercito piemontese in armi con i briganti, brigantesse e rivoluzionari. Si assisterà ad una battaglia avvincente, raccapricciante e fortemente emozionante, che si concluderà con i plotoni di esecuzione e l’incendio (simulato) di Casalduni.
Il presidente Nicola Bove, ringrazia il direttivo e il servizio civile della ProLoco, i ragazzi del gruppo Folk “Fontanavecchia”, le “signore” che collaborano intensamente con l’associazione, l’istituto scolastico e l’amministrazione comunale, con l’augurio che la cittadinanza di asalduni possa sempre più condividere le iniziative per una crescita culturale ed economica del territorio.


Una scena della rappresentazione seguita
con profonda commozione dai cittadini di Casalduni


mercoledì 17 agosto 2011

GRANDE EVENTO A MAIORI

Una tre giorni all'insegna della
VERITA' STORICA
Un appuntamento al quale non mancare

Nella splendida MAIORI (Sa), perla della costa d’Amalfi, tre giornate “neoborboniche” all’insegna della verità storica e dell’orgoglio meridionale sul tema: “Unità d’Italia: l’altra faccia della medaglia”. Convegni, mostre, dibattiti, proiezioni, spettacoli teatrali e concerti in un progetto a cura di Francesco De Crescenzo, con il patrocinio del Comune di Maiori. Nel corso delle celebrazioni per i 150 anni dell’Italia unita e di fronte ai problemi sempre più drammatici che affliggono il Sud di oggi, è sempre più necessario ritrovare identità e radici per formare classi dirigenti finalmente adeguate ed in grado di rappresentare il Sud di domani… 
VENERDI’ 19 agosto, Giardini di Palazzo Mezzacapo, centro storico di Maiori, ore 20.30, presentazione del libro MALAUNITA’ con la partecipazione del sindaco di Maiori Antonio Della Pietra, dell’assessore Andrea Del Pizzo, del cons. Mario Piscopo; moderatore Donato Sarno (segret. Centro Cultura e Storia Amalfitana). Relatori: Francesco De Crescenzo, Alessandro Romano, Vincenzo Gulì e dell’artista Eddy Napoli autore del singolo inedito “Malaunità” allegato al libro (segue proiezione del video ufficiale a cura di Angelo Forgione). Spettacolo teatrale a cura della Compagnia L’Atellana (diretta dal prof. Amatruda).
SABATO 20 agosto, ore 20.30, Giardini di Palazzo Mezzacapo, inaugurazione della mostra di immagini e documenti dal titolo “Briganti: eroi o malfattori?”. Presentazione delle autorità; moderatori Donato Sarno e Francesco De Crescenzo; relatori: Alessandro Romano (curatore della mostra), Vincenzo Gulì (vicepresid. Movimento Neoborbonico) con un intervento sull’economia meridionale prima e dopo l’unificazione italiana. Segue dibattito con il pubblico.
DOMENICA 21 agosto, ore 20.30, Giardini di Palazzo Mezzacapo, “Mostra sul brigantaggio” e dibattito. Proiezione del docu-film "La terra dei Borbone" a cura di Pino Marino (Daunia Due Sicilie e coordinatore per le Puglie del Movimento Neoborbonico). Moderatori Francesco De Crescenzo e Donato Sarno; relatori l'artista Eddy Napoli, Pino Marino, Gennaro De Crescenzo, presid. Movimento Neoborbonico (“Il Sud dai primati borbonici alle questioni meridionali”).
Concerto finale del cantautore Salvatore Mazzella: “Suonno ‘e libertà” (brani della tradizione brigantesca di ieri e di oggi).